Arnoldo Foà e Carlo Lizzani: due ricordi critici di Alessandro Ticozzi

di D. M.

Come si evince dalla prefazione dell’autore Alessandro Ticozzi, questo libro La voce e il cinema: Arnoldo Foà, attore cinematografico (Sensoinverso, 2014, E. 9,00),  alla seconda riedizione uscita pochi mesi dopo la scomparsa di Foà ed insignita nel 2017 del Premio Internazionale Salvatore Quasimodo nella sezione saggistica, nasce con l’obiettivodi ripercorrere e rivalutare la carriera cinematografica del grande attore Arnoldo Foà, ritenuta complementare rispetto alla prestigiosa carriera teatrale e televisiva. E tuttavia – come sottolinea Ticozzi – Foà ha avuto importanti collaborazioni con maestri del cinema italiano come Alessandro Blasetti, Damiano Damiani, Ettore Scola, Citto Maselli e internazionale, spaziando dal cinema d’autore e di genere.

Il valore di quest’operazione realizzata dall’autore veneziano, è sottolineata vieppiù da Gian Luigi Rondi che firma la pregevole prefazione del libro e che, rispetto alle pagine del libro, letto in anteprima, afferma: “Sono una disamina precisa, informata, esauriente, sempre sorretta nei giudizi critici da un gusto così sicuro che sento di poterlo condividere. Come condivido, appunto, e lodo, l’idea di consacrare a Foà un intero volume rappresentativo dei suoi cento film”.  È da aggiungere pure che questa edizione del libro rivista e ampliata – come la maggior parte, se non tutti i suoi libri – ha il pregio di corredarsi di una ragguardevole teoria di interviste a grandi personalità culturali che hanno conosciuto, lavorato con Arnoldo Foà e che arricchiscono sul piano critico quanto su quello umano il valore del lavoro del giovane critico, quanto il ritratto che emerge dell’attore e che si dischiude al lettore, al pubblico di ieri e di oggi.

Nell’affrontare appunto la carriera filmica del grande interprete ferrarese – nato nel 1916 e morto nel 2014, due settimane prima di compiere 98 anni – Ticozzi specifica una caratteristica precipua di Foà, ovvero quella di imbastire con il regista la ricerca di un rapporto costruttivo, felicemente critico, che è l’attore stesso a ricordare nel suo libro Recitare. I miei primi sessant’anni di teatro. A mo’ di esempio, Ticozzi riporta il primo incontro tra l’attore e il maestro del cinema nazionale Blasetti, a metà degli anni Trenta, che lo dirigerà in vari film, tra cui spicca Altri tempi (1951). L’incontro fra i due artisti è piuttosto burrascoso; Foà contesta al regista che l’attore “non è un oggetto da inquadrare in un fotogramma (…) ma è un ritratto vivente, se è un attore vero (…)”. La fermezza e un certo spirito critico di Foà vengono apprezzati dal cineasta così da invitarlo a sostenere un esame al Centro Sperimentale di Cinematografia. Altro incontro memorabile è quello con il grande Orson Welles per il quale Foà interpreta un ambiguo ispettore nel film Il Processo (1962) tratto dall’opera di Franz Kafka. Anche con il celebre cineasta americano, Foà non si esime da intavolare dei ragionamenti critici rispetto al suo ruolo, alla concezione che Welles aveva sulla lingua italiana considerata poco teatrale.

Arnoldo Foà

Negli anni successivi Foà lavorerà con altri maestri del cinema come ne I cento cavalieri (1965) di Vittorio Cottafavi, Il sorriso del grande tentatore (1974) di Damiano Damiani, Il giocattolo (1979) di Giuliano Montaldo, il quale, intervistato da Ticozzi, ricorda la grinta, il pieno vigore, una grande voglia nonché quel ‘meraviglioso vocione’ che incarnavano perfettamente il personaggio del cinico industriale. In Cento giorni a Palermo (1984) di Giuseppe Ferrara, Foà interpreta il ministro dell’interno che non aiuta il generale Dalla Chiesa. Ferrara rispetto alla sua collaborazione con Foà ne ricorda non solo la grandezza artistica, ma anche l’ironia e la grande disponibilità. Qualità che si assommano ad altre, come manifesta Giovanni Soldati, nell’intervista a Ticozzi, che dirige l’attore ne L’attenzione (1985). È proprio Soldati a ricordare il grande peso artistico di Foà proprio nel confronto costante con il regista.

Come emerge dall’analisi di Ticozzi, gli anni ’90 sanciscono per Foà il passaggio dal cinema minimalista come Ardena (1997) di Luca Barbareschi a quello demenziale come in Tutti gli uomini del deficiente (1999) di Paolo Costella.  Se nel primo l’attore interpreta “con leggerezza, ironia e un filo di malinconia” il nonno Rosolino di un adolescente, nel secondo è un ex-hippy narcolettico.  È qui che Foà con disponibilità e generosità – di fronte al talento altrui, di registi, di altri attori – risulta divertente e divertito e, come dichiara Costella all’autore, molto generoso con un regista esordiente cercando di essere d’aiuto, di sdrammatizzare e scherzare.

All’alba del Nuovo Millennio Foà appare nel film Gente di Roma (2003) del grande Ettore Scola – film d’autore – in cui come scrive Ticozzi egli “è un anziano padre che al tavolo del ristorante si confronta col figlio che vuole mandarlo all’ospizio (…) l’anziano impreca contro i camerieri e clienti, s’abbuffa di matriciana e fritto di cervello, ricorda quanto scompiglio ha portato in famiglia, si perde nei ricordi fino alla commozione, senza riuscire a smuovere però il figlio. Uno sketch di pochi minuti registrato magistralmente da Foà (…)”. Nel 2005 l’attore interpreta il carismatico Presidente della Repubblica “di chiara ispirazione ciampiana” ne La febbre (2005) di Alessandro D’Alatri, scomparso lo scorso maggio, il quale condivide con Ticozzi un singolare ricordo di Foà (gli fece un ritratto) e uno sguardo non solo ironico, ma anche “implacabile sulla società, la vita, la storia”. 

Nel 2006 appare nel film Antonio, guerriero di Dio di Antonello Bellico e in Quale amore di Maurizio Sciarra. Il grande interprete torna al cinema nel 2009 diretto da Citto Maselli in Le ombre rosse dove è un anziano sindacalista che schiera con i giovani di un centro sociale. Interpellato da Ticozzi, il grande regista (anche lui come D’Alatri venuto a mancare di recente), ricorda: “Ci capivamo sempre al volo soprattutto quando io volevo una recitazione più interiore (…). E lui – da grande attore qual era, ma anche da vecchio lupo del palcoscenico – capiva al volo e il ciak successivo era perfetto”. Foà reciterà per l’ultima volta sul grande schermo diretto da Luciano Melchionna in Ce n’è per tutti. Non potendo che dare un ragguaglio del lavoro di Alessandro, indubbiamente emerge un ritratto complesso e articolato di Arnoldo Foà dove la caratura e lo spessore umano combaciano con quello artistico. A riguardo è preziosa la testimonianza che Ettore Scola lascia a Ticozzi. “Anche il carattere è importante in una persona, e quello di Arnoldo è vivo e intelligente: è un intellettuale, come dimostra anche nei suoi libri, e anche questo ne fa una persona completa e affascinante nell’interagire col pubblico”.

******

Nel 2023 oltre al trentennale della morte di Federico Fellini e Giulietta Masina, si celebra anche il decennale della morte di Carlo Lizzani, uno dei maggiori cineasti italiani. Un intellettuale, ‘uno storico della macchina da presa’, come amava definirsi. Al grande regista, Alessandro Ticozzi ha dedicato il libro Il Novecento di Carlo Lizzani, (Sensoinverso, 2019, E. 9,00) con la prefazione di Vittorio Giacci. Lizzani esordisce come critico cinematografico in epoca fascista, entrando a far parte del gruppo di teorici del cinema riuniti intorno alla celebre rivista “Cinema”, fondata da Vittorio Mussolini. (All’epoca, anche guardando alla Francia, era molto frequente che registi e sceneggiatori esordissero dopo un lungo lavoro come critici cinematografici, se non in alcuni casi come teorici di cinema). La rivista, tuttavia, è frequentata proprio da quei giovani idealisti che scoprono il marxismo e si imporranno con una linea militante. Lizzani, giovanissimo, partecipa alla Resistenza per poi aderire al PCI iniziando così la sua carriera cinematografica. Tra le conoscenze importanti che segneranno il suo percorso figurano: Aldo Vergano (lo si vede in una piccola parte ne Il sole sorge ancora), Alberto Lattuada, Giuseppe De Santis, e poi il suo maestro Roberto Rossellini che conosce sul set di Roma città aperta e che poi segue a Berlino per le riprese di Germania anno Zero (1948). Negli anni ’50 Lizzani si cimenta anche nel documentario realizzando opere notevoli come Togliatti è ritornato, Viaggio al Sud, Nel Mezzogiorno qualcosa è cambiato del 1950. Ma è soprattutto Achtung! Banditi, storia di resistenza e di coraggio, a consacrarlo nell’alveo di quei registi animati da un profondo senso politico-civile che si riflette altresì nelle modalità di finanziamento del film, reso possibile anche dal contributo della gente comune. L’opera, sceneggiata da Rodolfo Sonego e Ugo Pirro, è ambientata durante la Seconda Guerra Mondiale e al centro della storia vi è il feroce scontro tra i partigiani e i tedeschi. I primi riescono a prevalere, grazie anche all’alleanza con gli operai e gli alpini, sui secondi impedendo che un’importante fabbrica venga smantellata e i suoi macchinari portati in Germania.

Carlo Lizzani

La gente, il popolo, che appoggiò e rese possibile il film, sarà al centro dello sguardo del regista romano nelle pellicole successive. Infatti, Lizzani fu uno dei pochissimi autori a narrare la gente comune attraverso pure un distintivo impegno politico ed espressivo con i modi di un cinema popolare. Al riguardo  Il gobbo (1960), prodotto da Dino De Laurentiis, è una delle pellicole più esemplificative ed ispirata alla storia di Giuseppe Albano, soprannominato il ‘gobbo del Quarticciolo’. All’interno di un’ambientazione correlata all’occupazione nazista e al primo dopoguerra, Lizzani offre un ritratto eccezionale delle borgate romane. (Nel cast figura addirittura Pier Paolo Pasolini). Sebbene infatti la storia ruoti attorno a un ‘conto sospeso con un fascista’ da parte del protagonista, assistiamo anche alla rappresentazione di un popolo afflitto dalle piaghe della miseria, della prostituzione, delle gang di banditi.  Le pellicole seguenti alternano un inesausto impegno ad affrontare il recente e tragico passato italiano (L’oro di Roma, Il processo di Verona) con uno sguardo attento ai radicali mutamenti della realtà e in ispecie quelli apportati dal boom economico. Emblematica a riguardo è la trasposizione cinematografica nel 1964 del romanzo La vita agra di Luciano Bianciardi. Lizzani, regista colto, comprende subito la portata del libro dello scrittore grossetano riuscendo a riprodurre con efficacia, grazie anche all’eccezionale interpretazione di Ugo Tognazzi, la vita e il contesto socio-politico del tempo. Dopo i western Un fiume di dollari (1966) e Requiescant (1967), in quest’ultimo riappare Pasolini come interprete, Lizzani torna a narrare il banditismo nelle città italiane come nel celebre Banditi a Milano del 1968. Il film era tratto da un fatto di cronaca, ovvero la rapina all’agenzia n.11 del Banco di Napoli in largo Zandonai e lo scontro a fuoco tra i rapinatori e la polizia per le strade di Napoli. Partendo da quest’opera, negli anni ’70 il lavoro di Lizzani si amplia, si fa ancora più complesso offrendo un affresco inedito della storia italiana. Nel 1974, dopo il film sul duce, Mussolini ultimo atto, gira tre pellicole che sono entrate nell’immaginario collettivo: Storie di vita e malavita (che racconta il racket della prostituzione minorile in Italia nella metà degli anni ’70), San Babila ore 20: un delitto inutile che prendendo spunto dall’omicidio di Alberto Brasili, racconta il terrorismo rosso e nero attraverso le vicende di un gruppo di ragazzi. Ambientato a Milano, il film è tuttora un documento eccezionale del clima storico-politico di quegli anni con particolare attenzione alle forme di neofascismo. E sempre sull’onda di quel periodo storico e in particolare degli anni di piombo, nel 1977 gira Kleinhoff Hotel.Tratto dal soggetto di Valentino Orsini e interpretato da Corinne Cléry, il film narra l’incontro tra un’affascinante e benestante signora francese e un giovane terrorista tedesco latitante. In quest’ottica la componente politica si coniuga con l’attrazione e la passione amorosa in considerazione anche del rapporto tra differenti classi sociali.

Nel 1980 Lizzani traspone in film un altro romanzo: Fontamara di Ignazio Silone. Una scelta che incarna, di nuovo, l’impegno politico del cineasta narrando la deviazione del corso di un fiumiciattolo ad opera di alcuni latifondisti, per irrigare i propri campi, minaccia e scatena i poveri agricoltori. Dopo Caro Gorbaciov del 1988, Lizzani gira altre pellicole degne di nota come Cattiva, concludendo il suo percorso autorale e umano tornando agli anni dell’occupazione nazista con il film del 2007 Hotel Meina. Tratto dal saggio storico di Marco Nozza, rievoca una strage dimenticata correlata a un rastrellamento dei nazisti a Meina, vicino al lago Maggiore.

Ma Lizzani fu anche meta-cinematograficamente colui che riuscì a far risorgere l’Italia cinematografica quando nel 1979 diresse la Mostra del Cinema di Venezia, confermando la sua caratura intellettuale-critica e di regista. Per questo importante anniversario a partire dal mese di aprile, la Cineteca Italiana con un progetto speciale promosso dalla Direzione Cinema del Ministero e realizzato insieme all’Aamod (Archivio storico Movimento operaio e democratico) e alla Casa del Cinema, gli rende omaggio con un progetto “Carlo Lizzani, la Storia e le storie”. Un’iniziativa che – attraverso l’emblematica parabola registica di Lizzani – ripercorre la seconda metà del Novecento.

Lascia un commento