Sette domande a Massimo Mori su Dante e il progetto “Padrelingua”

di M. P.

1 – In questo 2021 cade il fin troppo reclamizzato settimo centenario della morte di Dante. Tu senza aspettare il rituale anniversario, già dieci anni fa hai realizzato a Firenze, presso la Società delle Belle Arti Circolo degli Artisti ‘Casa di Dante’, la mostra “Padrelingua”. Ci racconti come è nato questo progetto e cosa, da eminente artista intermediale, ti ha in particolare mosso verso la poesia dell’Alighieri?

   Verso la poesia dell’Alighieri mi ha mosso il comportamento di mio padre, appassionato lettore della ‘Divina’. Nel 2004, estraneo ad ogni centenaria celebrazione, ho ritrovato casualmente la copia del grande poema che mio padre portava costantemente con sé: un’edizione tascabile del 1938 della Società Editrice Toscana. Il libro consunto dall’uso e praticamente squadernato, era fittamente annotato e sottolineato nelle molteplici letture. Da piccolo ero contrariato dalla attenzione saltuaria di mio padre verso di me e rivolta invece costantemente allo sconosciuto testo.  Istintivamente quell’antica avversione mi ha portato di getto a strappare e gettare alcune pagine del libro ritrovato. Quei frammenti sul pavimento invocavano ad una rilettura e ad una ricomposizione che, da poeta visivo, potevo solo operare attraverso una grafia, una texture, una sutura calligrafica degli strappi verso l’imagetext,richiamato da Federico Fastelli in una successiva presentazione del lavoro.

   Le suggestioni che mi suscitarono lo strappo e la ricomposizione scritturale dei frammenti del libro paterno mi portarono a formulare il titolo dell’operazione ‘PADRELINGUA, la Divina Commedia da mio padre studiata da me strappata e ricomposta’. La funzione genitoriale di Dante nei riguardi della lingua italiana non disconosceva il primato della letteratura siciliana, ma essendo egli l’autore del maggior poema che mio padre leggeva era anche a costui rivolto lo strappo, ben rappresentato dai caratteri delittuosi del font Chiller di ‘PADRELINGUA’.

   Proseguendo e meditando lo strappo e la ricomposizione del testo, mi fu chiaro che la ‘operazione’ coinvolgeva più significati oltre quello d’una vicenda personale, presentandosi come lavoro in itinere. Intravvidi quattro livelli di realizzazione intermediale sinestesica, anche distintamente fruibili nell’estetica di quattro differenti codici espressivi.

   Il primo livello, fondamentale, fu quello nel 2004 di presentare le pagine come opera di poesia visiva e così 150 pagine finirono distribuite in altrettanti numeri di ‘BAU, contenitore di cultura contemporanea’ presente nei maggiori musei internazionali d’arte. Ogni pagina assumeva una singolarità autorale per la differente forma dei frammenti, la manuale ricucitura calligrafica e, naturalmente, la sua unicità nel contesto del libro.

   Il secondo livello, a cui fai riferimento, è stata la mostra di ‘PADRELINGUA’ allestita nell’anno dantesco 2011, presso la Società delle Belle Arti Circolo degli Artisti ‘Casa di Dante’ a cura di Graziella Marchini che allora studiava con me Tai Chi. Con questa mostra, andando oltre la ‘poesia visiva’, l’allestimento realizzava un’opera di poesia concreta e oggettuale: i frammenti sul pavimento divenivano ‘pagine da muro’. Stefano Pezzato del museo ‘Pecci’ nella presentazione così si esprimeva “ ‘Poesia’ scrivevano André Breton e Paul Éluard in ‘Notes sur la poésie’ è cosa esposta. Mori istituisce la ‘linguapadre’ e ne fa un monumentum… per la grande estensione espositiva e l’impatto visivo molto forte…”. La scrittura-sutura calligrafica in continuo ‘laDivinaCommediadamiopadrestudiatadamestrappataericomposta’ entrava ed usciva dalle ‘pagine da muro’ e dallo stesso Dante.

2 – Il sottotitolo di Padrelingua recita: “La Divina Commedia da mio padre studiata da me strappata e ricomposta”. Questa tua azione di decostruzione e ricostruzione voleva avere il senso di una moderna dissacrazione, subito seguita però da una riconsacrazione?

   Quei frammenti sparsi sul pavimento mi erano parsi le mitiche Simplegadi, isole destinate alternativamente a scontrarsi e ricomporsi. Così più che una dissacrazione e il suo contrario (la Commedia diviene ‘divina’ dopo Dante) l’operazione mi riportava al mito, all’alternanza contrappositiva, come tra avanguardia e tradizione; ambito nel quale il mio lavoro viene correttamente posto da Ernestina Pellegrini. Dalla esposizione del 2011 emergevano ormai chiaramente alcune complesse suggestioni e tematiche: ‘tra Patria e Matria il miglior fabbro del parlar materno’ ‘dal volgare all’unità linguistica del Paese’dall’idioletto individuale al lessico familiare’ ‘il presente del passato e la storia del futuro’ ‘la trasgressione giovanile e la maturità ricompositiva’ ecc.

   A proposito di quest’ultima, in riferimento allo strappo di Dante del ramoscello nel Canto XIII dell’inferno di Pier della Vigna, così osservava Grazia Beverini Del Santo “…Quando Dante spezza questo ramo e incontra il peccato grande del suicidio, non so dove collocare Massimo Mori nel momento in cui straccia la prima poi la seconda pagina…Quello che so è che il moto di ribellione è di liberazione della sua propria creatività da tutto quanto gli viene portato dal passato. Ma ciò non viene risolto nell’omicidio del padre o nel suicidio, ma nel salvare con la figura paterna tutta la linguapadre, tutta la cultura, ed è un punto di approdo della più grande maturità: individuale, umana ed artistica…Vi è bisogno di trasgredire, cioè di passare attraverso, di affrontare un rischio…” 

3 – Padrelingua già nel titolo si investe di una eredità culturale che fa di Dante l’effettuale genitore della lingua italiana, e la forza prepotente del suo poema sta in una elaborazione linguistica espressionistica e sperimentale, in effetti ben poco osservata nella linea maestra della poesia italiana che ha preferito seguire la lirica petrarchesca. Tu hai ‘aggredito’ Dante con un gesto ardito di poesia verbovisiva, concettualmente non lontano da certa action-painting. Anche in questo modo hai pensato di riconoscere il tuo debito di ‘figlio’ verso la paternità dantesca?

   Hai ragione la mainstream della poesia italiana è tradizionalmente petrarchesca e solo molti secoli dopo, nell’Ottocento, si recupera la grandiosità del poema. Tale recupero mi pare tuttavia ufficialmente ora rivolto ad una finalità Divina più che a cogliere il senso d’una Commedia umana che al divino tende, ed al quale si avvicina per l’impiego espressionistico della ‘lingua nova’ nel rappresentare lo scenario dell’aldilà come critica dell’aldiquà. A seguito della esposizione del 2011 e del successivo video d’arte diverse competenti attenzioni venivano rivolte a ‘PADRELINGUA’. Emergevano correttamente considerazioni non esplicite allo stesso autore, come avviene nei livelli profondi della creatività sondabili solo da un osservatore esterno. A tale proposito era magistrale la recensione ‘Dal microcosmo fiorentino al macrocosmo della Commedia’ di Stefano Lanuzza in Retroguardia (n.2, 5 luglio, 2015): “… Ne consegue uno smontaggio per il quale si vengono a creare nuove relazioni testuali ed inedite composizioni e ricostruzioni. In seguito, tali frammenti, sono disposti in una sorta di tracciato neoconoscitivo…”. D’altra parte, nella elaborazione del progetto mi era stato di riferimento, dello stesso autore, ‘DANTE E GLI ALTRI, romanzo della letteratura italiana’ edito da Stampa Alternativa nella collana Eretica (2001).

   Come noti, il mio gesto dello strappo casuale e spontaneo è riferibile concettualmente alla action-painting, ma tutto ciò che segue nel lavoro di PADRELINGUA va dal concetto alla narrazione; in questo senso rispetto ad un ‘concettuale freddo’ – spesso limitato ad épater le bourgeois – ho scelto un ‘concettuale caldo’, anche come ricomposizione dal visivo iconologico ad un testuale letterario.

  Il mio debito di ‘figlio’ verso la paternità dantesca è saldato dal riconoscere l’elaborazione sperimentale e l’impiego avanguardistico della lingua più che dal reiterare la pe-dantesca celebrazione di nascita e di morte. Per la paternità genitoriale i conti sono a pareggio avendo sparpagliato nell’ambito dell’arte i suoi consunti e annotati fogli, altrimenti dispersi nella distanza del tempo.

 4 – Il progetto Padrelingua nel 2015 è divenuto anche un video d’artista pubblicato da Morgana Edizioni della compianta Alessandra Borsetti Venier. Ci racconti come hai girato il video, come hai tradotto in immagini filmiche il nocciolo poetico della tua opera?

   Con questa domanda entri nel terzo livello del progetto. Dopo aver fatto delle pagine del poema delle opere di poesia visiva con BAU e poi di poesia concreta ed oggettuale con la mostra del 2011, intendevo realizzare un lavoro intermediale audiovisivo che riunisse in sé brani del testo, elementi di critica, voci di poeti compagni di strada, il corpo come promenade nella città del poeta, la viandanza, il metissaggio a geometria variabile con angolazioni da cui vedere, ascoltare, percorrere differenti letture; una riproposizione pedestre non pedantesca. La trasformazione filmica si basa innanzitutto su alcune direttrici che ne determinano l’esito complessivo; il giudizio su quest’ultimo può essere dato solo vedendo il video di un’ora, mentre qui posso indicare le direttrici. Come nel sottotitolo di ‘PADRELINGUA’ è centrale il ‘da me’ (responsale dello strappo e della ricomposizione) dovevo assumermi il compito di ripercorre ‘in proprio’ le vie dantesche accompagnando lo spettatore. Nell’epoca di wikipedia in cui la conoscenza si fa per frammenti a rapido consumo, le pagine strappate divengono nel video ‘frammenti vocali’ della Commedia performizzati da poeti che non compaiono; una ‘poesia a strappo’ per riconciliare la città col suo debito dantesco; il tracciato del percorso per le vie di Firenze è la cucitura dei frammenti vocali quando l’immagine si ipostatizza in bianco e nero a dare consistenza, fuori dal tempo e dal luogo, al testo poetico. Le tracce biofonetiche del percorso dantesco nelle vie di Firenze, segnano il territorio con impronte fossili vocali della Commedia. Il transito ha il contrappunto di elementi sonori dell’illustre compositore Albert Mayr tratti da ‘Pulse Prelude’.  

   Solo nel montaggio delle riprese ci accorgiamo, con l’amico operatore Francesco Mariani, d’un fotogramma (qui allegato al testo) dove cammino in Via dei Cimatori verso la casa di Dante e sul muro adiacente un writer aveva scritto: “passa solo il tempo il poeta resta”. Mi piacerebbe conoscerne l’autore; il graffito non c’è più.

   Il filmato, dopo tre anni di lavoro, interessò subito Morgana Editrice che aveva da poco inaugurato la collana di video d’arte ‘Risguardi’ (titolazione che avevo suggerito ad Alessandra Borsetti Venier, a sua volta entrata con un frammento vocale tra le letture dantesche). Fu così realizzato un elegante cofanetto contenente, oltre al dvd, il libro di piccolo formato ‘Frattali’. Questo presentava, tra altri, testi critici di Matteo D’Ambrosio, Filippo Bettini, Edi Bacciotti su aspetti differenti del mio praticare; il titolo del libro era pensato perché oltre la frammentazione delle pagine era la replicazione frattalica, in dimensione espositiva, a potenziarne il contenuto fino alla dimensione di ipertesto. 

Massimo Mori

5 – Nel dvd hai inserito anche alcuni frammenti vocali della Divina Commedia, recitati da quindici poeti performativi italiani e stranieri. Come è nata questa idea di compartecipazione multivocale? Aveva il senso di una ricerca di complicità nel fare risuonare i versi danteschi nella contemporaneità, ma senza quella solennità e monumentalità che offre abitualmente la scena ufficiale?

   Il filmato, prima che in poche altre città ed occasioni, venne proiettato alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze con la presentazione di Antonia Ida Fontana nel 2015. Per le letture dei frammenti danteschi avevo invitato le voci di un nutrito gruppo di poeti (donne e uomini tra cui sei compreso) che riconoscevo come compagni di strada nel versante della poesia innovativa, sperimentale ed intermediale. Tra di loro nomi conosciuti o meno, ma tutti ‘militanti’ in proprio più che complici coattivi d’una parola impegnata e non solo innamorata di se stessa (chi più impegnato di Dante nella costruzione poematica?). È opportuno ricordarli tutti: Tomaso Binga, Martha Canfield, Milli Graffi, Giulia Niccolai, Giovanni Fontana, Lello Voce, Mariella Bettarini, Alessandra Borsetti, Luigi Fontanella, Enzo Minarelli, Kiki Franceschi; non mancavano le voci di noti poeti performativi stranieri, il francese Julien Blaine, lo spagnolo Bartolomé Ferrando, l’ungherese Endre Szkarosi che ho incrociati in eventi di ‘poesia in azione’. L’elenco avrebbe potuto essere molto più lungo.  

   Del video d’arte ‘PADRELINGUA’ sono comparse positive attenzioni, tra queste Maurizio Spatola inseriva nel suo Blog un’ampia e documentata presentazione, mentre Niva Lorenzini mi scriveva “…è come se Dante passeggiasse con te per le vie di Firenze, mentre la mescolanza delle pronunce e delle voci lo rende nella forma della promenade, lo attualizza, lo inserisce tra le vie, le gallerie d’arte, nei luoghi, nel presente di chi lo recepisce insieme con te… un’ottima realizzazione, utile anche per il confronto di letture, interdisciplinare e internazionale”.

  Ma è stato Lello Voce a scrivere in ‘Strana sorte quella delle cosiddette AVANGUARDIE IN POESIA’ (‘il Fatto Quotidiano’, 15 ottobre 2015) considerazioni fondamentali su di me e su Arrigo Lora Totino qui parzialmente riportate anche a chiarimento di ciò che intendiamo per ‘Dante delle Avanguardie’ “… Eppure, in poesia, tanto e forse ancor più che nelle altre arti, appare evidente come – scrostato dalle evenienze storiche, dalle allure ‘militari’ e dalle illusioni ingenuamente ‘progressive’ e storiciste – ciò che han fatto le Avanguardie lo fan tutti, da sempre…Tutto il susseguirsi delle differenti poetiche che, nella lunga storia della poesia occidentale, giungono da una ‘periferia’ per conquistare il centro della semiosfera poetica, altro non è che un succedersi di successive novità, di ‘avanguardie’ che spazzano il campo dal passato e sperimentano e poi impongono nuovi parametri estetici… Sto dicendo proprio questo: che la Tradizione, in fondo, è solo genealogia delle Avanguardie… Né sono il primo a leggere caratteristiche d’avanguardia, ad esempio, nello stilnovismo, con i suoi ‘fedeli d’amore’… è per introdurre l’opera di due ottimi poeti,…, spesso considerati d’avanguardia proprio per potersi più facilmente liberare della loro ingombrante presenza, respingerli ai margini della poesia (mentre, invece, ne sono al centro) e tornare alle rassicuranti pagine del libro, sempre uguali a se stesse, mentre invece il loro legame con la, o meglio le Tradizioni, è fortissimo e assolutamente pregnante… Esce in questi giorni il suo Padrelingua, libro + dvd (Morgana ed.) che proprioa Dante ritornaeda Dante riparte… Il compito del poeta, allora… sarà ricostruire dai frammenti, riedificare con le rovine… ancora una volta antica tradizione e spericolata sperimentazione si fondono per trovare nuovi equilibri di senso, e ricordarci, per tornare da dove eravamo partiti, che il padre di tutte le avanguardie in poesia è proprio lui, colui che ha fondato anche il Canone: Dante.”.

6 – Infine, la “Lectura Dantis” è pressoché un topos nel mondo teatrale-culturale nazionale: da Vittorio Gassman a Carmelo Bene, da Arnoldo Foà a Vittorio Sermonti, da Roberto Benigni a Franco Ricordi e, buon ultimo, Giorgio Colangeli. Dalla tua postazione di artista eterodosso c’è qualche interpretazione che ti interessa e ti convince?

   La ‘Lectura Dantis’ è stata ormai declinata in tutte le possibili forme; nella teatralizzazione è quella di Carmelo Bene che rimane più avvincente. È mia impressione tuttavia che dovrebbero essere definite come ‘letture della Divina Commedia’; in tale teatralizzazione, come avviene nella rappresentazione contemporanea, si passa dalla centralità del testo alla centralità semantica del corpo dell’attore. In analogia, nel riconoscimento della validità del testo, si rivela per me ancor prima e centrale la semantica biografica del vissuto dell’autore. Come ho già scritto (Poematica del Principio Tai Chi, Edizioni Clichy, 2020) non mi affido a chi spasima sulla parola per la parola. Non mi convince che l’opera sia avulsa dal dato biografico (genitoriale), dal comprendere che il divenire (da guelfo a ghibellino, da padre a figlio a padre, da tradizione a innovazione) è una scena di progressione, di promenade esistenziale.

   Mi riguarda più dell’interpretazione testuale, la comparazione tra questa e l’autenticità poietica: il nerbo di vita generatore del testo. Più Dante che il suo poema (più mio padre che il libro consunto) riconoscendo poi che la grandiosità della Commedia compiuta è la base che ne fa il monumento e da questo, in piazza Santa Croce, inizia la camminata del filmato e ad esso torna.    

7 – Quale futuro dell’opera?

   La replicazione frattalica dei primi tre gradini del progetto ‘PADRELINGUA’ (le pagine di ‘poesia visiva’ nel 2004, l’installazione d’arte espositiva di ‘poesia concreta e oggettuale’ nel 2011, la realizzazione intermediale del ‘video d’autore’nel 2015) permette all’opera in itinere di essere sinergeticamente fruita in contesti e prospettive differenti. In ambito accademico fiorentino il progetto comparatistico (iconologico e testuale) di Visual Studies e di West-East Studies, implementato anche da Ernestina Pellegrini e Federico Fastelli, ha acceso l’attenzione alle produzioni ‘fuori registro’ sperimentali tra il letterario, il visuale, il concreto, il sonoro ecc. superando finalmente la compartimentazione delle ‘belle lettere’. Ciò naturalmente non avviene né per la prima volta né solo a Firenze (basta ricordare la tradizione bolognese che va da Luigi Anceschi a Renato Barilli a Niva Lorenzini e alla prima fondazione del DAMS). Ha ragione Federico Fastelli ad annotare che i critici d’arte sono stati più accorti e lungimiranti dei critici letterari nell’aprire le porte a fruizioni sinestesiche e sinestetiche. Proprio qui a Firenze i poeti del Futurismo, dell’Ermetismo, seguiti dalla Poesia visiva del Gruppo 70, e poi da quella concreta, tecnologica, sonora e performativa fino alla poetronica, hanno vissuto i confronti e gli scontri del loro operare. Sta di fatto, comunque, che pare essere in diverse istituzioni, specie all’estero, l’ambiente accademico rigettato dagli amici avanguardisti a proporsi come luogo di conservazione e proposizione viva e vitale delle produzioni intermediali (così fanno da noi i centri d’arte contemporanea: il MART, il Pecci, il Maxxi ecc.). Queste produzioni, d’altra parte, hanno una tradizione antica ed era Eugenio Miccini, tra i padri della ‘poesia visiva’, ad affermare: “Io sono un classico’. La tradizione del nuovo, d’anceschiana memoria, continua a germogliare in altre forme e contenuti. L’attenzione delle istituzioni accademiche si esprime ora a Firenze alla Biblioteca Umanistica dell’Università dove, a cura di Floriana Tagliabue, si sta costituendo il ‘Fondo di Poesia Intermediale’. È in tale clima di attenzioni e relazioni che, superando il giro di giostra celebrativo delle date di nascita e morte, si delinea un ‘Dante delle Avanguardie’ e il prossimo autunno (dal 15 ottobre al 6 novembre), per la prima volta verrà realizzata nel Corridoio Brunelleschiano dell’Università tra il chiostro di levante e quello di ponente, l’estesa installazione di ‘PADRELINGUA’ con la contemporanea proiezione sinergica in continuo del film di un’ora. Evento che dedico a Massimiliano Chiamenti, dantista, poeta, performer e rock star prematuramente scomparso, ma la cui presenza diviene un’ombra di luce che nel tempo si espande.

  Ho accennato all’inizio di questa intervista a quattro livelli del progetto. L’ultimo, se le forze e le occasioni lo renderanno possibile, consisterà in una partecipazione performativa dei cittadini in una piazza di Firenze: una lettura della intera Divina in 10 minuti come definitiva esecuzione esaltatrice della PADRELINGUA.

   In una contemporaneità che supera i ruoli genitoriali posso qui in conclusione annotare che mai avrei strappato la lingua ‘madre’ (Purgatorio, Canto XXVI) che, ancor prima della alfabetizzazione e delle parole, ci nutre dell’amor che move il sole e l’altre stelle.      

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